Lo psicologo Gabriele Barreca: «Il dramma è che da ansia scolastica e assenteismo si sta trasformando in ritiro sociale»
CHIASSO – L’insostenibile “pesantezza” dell’essere entra fra i banchi di scuola e manda in tilt gli studenti, anche i giovanissimi. Ha assunto il nome di “ansia scolastica” il malessere che nasce fra le mura delle aule scolastiche e che lascia sempre più spesso come segno del suo passaggio dei banchi di scuola vuoti.
Sempre più studenti (gli psicologi parlano di un 20% a livello svizzero) si assentano dalle lezioni perché la scuola gli fa paura e genera delle crisi interiori così forti da impedire l’entrata in classe. « Il dramma è che negli ultimi anni da ansia scolastica e assenteismo si sta trasformando in dispersione vera e propria e in ritiro sociale» mette sul chi va là la questione lo psicologo Gabriele Barreca, referente del Settore corsi dell’Area Psico-Educativa di Croce Rossa Svizzera in Ticino.
Il mal di scuola: un fenomeno che viene da lontano e che si sta trasformando in “ritiro sociale” – Chi pensa che il “mal di scuola” sia un fenomeno che appartiene strettamente all’epoca digitale si sbaglia: «Assolutamente – conferma Barreca – il problema dell’ansia scolastica non è un problema di oggi. Il grande problema è che dieci o quindici anni fa i casi di ritiri sociali riguardavano ragazzi in tarda adolescenza, mentre oggi il trend sembra aver abbassato l’età, per cui i ragazzi che fanno fatica ad andare a scuola iniziano a ritirarsi anche dagli altri contesti sociali, come lo sport o altri settori del tempo libero».
L’ansia da performance e la paura che blocca – Ma da cosa nasce questa idea di esilio già a quella giovane età? Per lo psicologo «nell’alveo dei “buoni” motivi per cui un ragazzo decide di non andare a scuola se ne sono possono trovano tanti. Quello della performance per esempio incide tanto, in un tempo storico come questo nel quale dobbiamo performare tutti alla grande. Quindi, certamente, il tema delle aspettative e il timore di non saperle onorare incide nell’insorgenza di uno stato di crisi».
Questo isolamento, il sentire che stanno crescendo da soli – spiega – li porta a uno stato di alienazione che li porta a chiudersi in uno spazio che loro considerano protetto, come può essere ad esempio la loro stanza, da cui non escono nemmeno per andare a scuola. Abbiamo assistito a casi di giovani che si sono reclusi nella loro cameretta addirittura per oltre sei mesi, i famosi Hikikomori».
«Dialogare con i ragazzi senza i grandi filtri degli adulti» – Molti genitori si chiedono quali strategie mettere in campo per fronteggiare questo stato di “fermo” e di vita sospesa, che pregiudica a volte anche il percorso formativo: Barreca specifica che difficilmente si può avere in tasca la ricetta che vada bene per tutti, però afferma che la problematica può essere contrastata solo «nel momento in cui si crea con i ragazzi uno spazio di confronto libero nel quale possano raccontare la propria storia. Una cosa che abbiamo notato – racconta – è che i ragazzi si aprono quando parli senza i grandi filtri degli adulti e sei disposto ad ascoltarli in modo autentico. E allora scopriamo che i ragazzi raccontano e questo è già terapeutico».
Una cosa che funziona molto – rivela – è «creare da un lato delle reti con le agenzie educative, la scuola in primis, e poi fare alleanze con le famiglie, con momenti di confronto: un format online di Croce Rossa che sta andando molto bene, si chiama “Un’ora parliamo di” pensato per genitori con i quali si ci confronta su diverse tematiche legate alle sfide educative».
La zona buia dove non si capisce bene quale sia il senso della vita – Quindi l’avvicinamento alla zona buia dove l’adolescente si è rifugiato e da cui non vuole uscire va condotto su due piani (quello dei genitori e dei figli), questo perché «fondamentalmente le sfide che affrontano gli adolescenti sono sempre le stesse da secoli – dice Barreca – il problema è che oggi hanno paradossalmente meno strumenti e con un contesto sociale che non è più accogliente e contenitivo, come magari poteva esserlo quindici/vent’anni fa. Quindi per i ragazzi aumentano da un lato le difficoltà di affrontare il percorso di crescita e dall’altro sono consapevoli o meglio percepiscono di essere sempre più soli. I nostri ragazzi vivono fondamentalmente in un contesto in cui dal punto di vista esistenziale non si capisce bene quale sia il senso della vita, qual è il loro ruolo nel mondo e qual è la direzione da seguire».
Le azioni progettuali del Settore Corsi della Croce Rossa – Per contrastare il “buco” nero dell’isolamento, si deve partire da lontano per creare delle reti di protezione: «Come Settore Corsi di Croce Rossa – fa sapere Barreca – facciamo dei percorsi nella scuola già dall’infanzia per alfabetizzarli sulla capacità di riconoscere le emozioni e di gestire i conflitti attraverso delle attività ludiche aiutarli a identificare ad esempio emozioni come la rabbia distinguendola dall’aggressività, oppure scoprire la paura ma anche la tristezza, facendo passare il messaggio che le emozioni non si possono non sperimentare e che scappando da esse in realtà si iniziano a combinare un po’ di guai». Per la scuola elementare e media – aggiunge – ci sono poi dei percorsi di “educazione digitale” che insegnano a utilizzare le tecnologie in modo etico e responsabile. Inoltre si previene bullismo e cyberbullismo: uno di questi progetti si chiama “Sai del bullismo? Se sai non fai”».
L’App dedicata – Barreca e i suoi collaboratori nelle scuole lavorano molto sul concetto di intelligenza emotiva, “alleniamo quelle competenze che aiutano i ragazzi a crescere in un modo equilibrato, potenziando la consapevolezza e l’empatia». E fra i progetti in cantiere per arginare il “mal di scuola” «stiamo perfezionando un’applicazione che attraverso la realtà virtuale aiuterà i ragazzi a migliorare la qualità delle relazioni sociali e a mettersi nei panni degli altri. Un nuovo percorso dove gli studenti potranno descrivere situazioni di eventuale disagio vissuto, condividendo con altri loro coetanei questa esperienza: si avrà quindi la possibilità di monitore i dati e capire più da vicino a livello cantonale quale è la situazione del malessere giovanile».